di Ciro Lubrano
Era arrivata la loro stagione; sull’isola iniziavano a sbarcare a metà
mattinata dei furgoni pieni stracolmi di quelli
buoni, dalla scorza verde oliva e dalla forma un po’ allungata. Dolci
erano dolci ma, per essere veramente rinfrescanti e dissetanti,
bisognava o calarli nel pozzo o, molto più prosaicamente,
spaccarli a metà e sistemarli nella parte bassa del frigorifero.
Mio zio Ali` ne era particolarmente ghiotto e quando te ne offriva una
fetta, sicuro se ne era servito prima lui; se era freddo, dolce e
succoso al punto giusto, bissava volentieri e te ne offriva subito un
altra con grande generosità.
Quando gli ospiti erano bambini o donne, Alì premurosamente offriva
loro le fette senza semi. Lui li sapeva pure "tuzzuliare" (bussare) i
cocomeri e i suoi vicini di casa non ne compravano se prima lui stesso
non dava l'approvazione. Questo costringeva il mellonaro ambulante a
passare per quella zona negli orari più strani ma anche più sicuri per
incontrare Alì disponibile.
Ricordo che all’epoca (e tuttora) trovavo sempre curioso l’invito a
“voce stesa” che i venditori lanciavano dal furgone per fare pubblicità
al prodotto.
Quasi tutti infatti, oltre a permettere ai clienti di saggiare la bontà
del prodotto intagliandone abilmente un piccolo cono tricolore, erano
soliti ripetere:
*“So` chine ‘e fuoco ‘sti mellune. - Mellune sapurite; teneno ‘o
ffuoco d’o Vesuvio!”. (*traduzione= Sono pieni di fuoco questi
cocomeri. - Angurie saporite; hanno dentro il fuoco del Vesuvio!). Io,
come pure zio Alì, restavamo interdetti; ma come, per vendere prima e
meglio una frutta meravigliosa che assicura pronto refrigerio e calma
la sete piu` d’ogni altra cosa, si vantava il suo colore rosso-fuoco e,
quasi per contrasto, piu` che le sue proprieta` dissetanti, si evocava
il calore infernale del vulcano? Boh!!
Chiaramente, come in tutte le tradizioni popolari, cio` aveva una sua
spiegazione logica; cosicche` i cocomeri, a Procida, li hanno sempre
venduti cosi` e tuttora continuano a farlo.